Durante la Seconda Guerra Mondiale i piloti dell’aviazione inglese e americana che sorvolavano il Nord Italia vedevano una grossa macchia bianca sotto di loro e capivano di trovarsi sopra Casale Monferrato, che avevano ribattezzato “the white town”, la città bianca.
I tetti delle case, infatti, erano coperte di bianco dalla polvere d’amianto che fuoriusciva dallo stabilimento – il più grande d’Europa – che la multinazionale Eternit aveva aperto a Casale Monferrato nel 1907. Benché fosse noto che l’amianto fosse un materiale cancerogeno, l’Eternit continuò a produrlo fino al 1986, tenendo i lavoratori all’oscuro dei rischi legati alla lavorazione di questo materiale. Più di 1600 persone sono morte a Casale Monferrato per patologie correlate all’amianto. Oggi, a quasi 30 anni dalla chiusura dello stabilimento, nella “città bianca” permane un tasso di mortalità crescente e allarmante.
Le vittime colpite da mesotelioma pleurico, asbestosi e carcinoma polmonare sono stimate all’incirca dalle 40 alle 50 l’anno.
Il 19 novembre 2014 la Corte di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza di condanna per il magnate svizzero Stephan Schmideiny pronunciata il 2 giugno 2013 dalla Corte d’Appello di Torino. La Suprema Corte, pur riconoscendo la sussistenza del reato di disastro ambientale doloso per il quale l’ex amministratore delegato dell’Eternit era stato condannato a 18 anni di reclusione, lo ha dichiarato prescritto. Consenguentemente sono stati annullati anche i risarcimenti per le vittime. Il 1 luglio 2014 il pm di Torino Raffaele Guariniello aveva firmato l’”avviso di chiusura delle indagini” per il cosiddetto Eternit-bis, un processo in cui lo stesso Schmideiny sarà chiamato a rispondere dei reati di omicidio aggravato volontario con l’aggravante dei motivi abietti (il profitto) e del mezzo insidioso (l’amianto).